DISCLAIMER: The following story is a fictional account of young teenage boys who are in love. There are references and graphic descriptions of gay sex involving minors, and anyone who is uncomfortable with this should obviously not be reading it. All characters are fictional and any resemblance to real people is purely coincidental. Although the story takes place in actual locations and establishments, the author takes full responsibility for all events described and these are not in any way meant to reflect the activities of real individuals or institutions. The author retains full copyright of this story.
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Questo è l'undicesimo dei diciotto capitoli che compongono il romanzo.
CAPITOLO 11 - Vecchie e nuove cicatrici
Fu solo nel pomeriggio che li vide arrivare, Joel e Angelo, di ritorno dalla spiaggia.
Era rimasto al campo, da solo, non aveva voluto seguire gli altri. Per quel giorno, che credeva, a ragione, uno dei più importanti della sua vita, voleva solo lavorare. Stare con i compagni era una prova che non riusciva ancora ad affrontare. Provava un'intima vergogna al pensiero di averli delusi tutti. E provava tanta vergogna anche verso se stesso.
Aveva raccolto legna per il fuoco e lavato tutti gli indumenti sporchi che erano in giro, aveva cominciato a selezionare i paletti per la costruzione del nuovo calendario, seguendo il progetto di Angelo. Si era dato da fare in ogni modo, era anche andato a pescare e l'aveva fatto da solo, declinando le offerte di accompagnarlo che tutti, meno Joel e Angelo, gli avevano fatto.
Voleva stare da solo, perché in tutto quel tempo doveva pensare.
La mamma l'aveva portato in America da Capo Verde quando era ancora molto piccolo, tanto da non ricordare nulla della sua patria. Neppure di suo padre conservava ricordi, né sapeva molto, perché se ne era andato in Portogallo a cercare lavoro quando lui non era ancora nato. Erano gli anni prima della guerra e la mamma, ritrovandosi da sola, aveva deciso di tentare di raggiungere gli Stati Uniti, piuttosto che andare a cercare il suo uomo chissà dove. Terry non riusciva a spiegarsi perché lei non avesse tentato di raggiungere suo marito. Le aveva fatto domande precise, quando, negli ultimi tempi, era abbastanza cresciuto e lei già molto malata. La mamma non ne aveva mai voluto parlare. Solo all'ultimo era venuta fuori una storia di violenza, peraltro solo accennata al ragazzo, da cui era chiaro che lei non aveva alcun interesse a ricongiungersi con l'uomo che pur essendo il padre di suo figlio, non era suo marito, né era degno di essere ricordato.
Giunta in America era stata aiutata da altri emigranti a sopravvivere in quella nuova terra di cui soprattutto non aveva mai imparato a comprendere la lingua. E proprio questa limitazione le aveva impedito di trovare lavori in qualche modo soddisfacenti, anche se la sua determinazione a provvedere a suo figlio aveva consentito ad entrambi di sopravvivere e di cavarsela.
Terry aveva sempre cercato di essere un buon figlio, fin da quando aveva compreso i sacrifici fatti da lei per mantenerlo. Era divenuto subito il suo traduttore, già da quando era molto piccolo era stato la sua guida attraverso i meandri della burocrazia per l'immigrazione e l'istruzione. Avevano diviso il piacere di diventare cittadini americani giusto un anno prima, quando Terry era dodicenne. Proprio pochi giorni dopo, alla mamma fu diagnosticato un tumore e lei se ne andò in due mesi, lasciandolo, con la sua storia, alle cure poco attente di alcuni conoscenti, immigrati anche loro.
Pianse la perdita della mamma e, prima di potersi asciugare le lacrime, finì, come gli altri di Venture Island, affidato ai servizi sociali e quindi in un orfanotrofio.
Il viaggio sulla Venture e l'amicizia con Joel e Angelo, oltre che donargli un poco di serenità, gli avevano finalmente fatto accettare l'idea di continuare a vivere senza di lei, ma da quando aveva commesso quell'azione ignobile, pareva che tutto attorno a lui si fosse irrimediabilmente rovinato, che tutta la sua vita fosse compromessa. E poi non faceva che chiedersi cosa avrebbe pensato la mamma se l'avesse visto in quella situazione.
Adesso che Richard l'aveva almeno aiutato a sopravvivere, sentiva il bisogno di provare a se stesso, prima che agli altri, il proprio valore, di essere degno di restare in mezzo a loro. Per quanto fosse ancora piccolo d'età, la vita l'aveva sufficientemente provato, perché sapesse riconoscere il bene e il male, questo almeno era quello che credeva di sé, fino a due giorni prima.
Anche se aveva sempre cercato di vivere secondo gli ideali di onestà e di giustizia che sua madre gli aveva trasmesso, adesso la sua immagine, ciò che ora sapeva di essere, era stata drasticamente alterata dagli eventi degli ultimi giorni, ora doveva fare i conti con una parte del suo carattere che evidentemente non conosceva ancora, forse ereditata da quel padre violento e sconosciuto. Era spaventato a quell'idea e anche fortemente immalinconito per aver bruciato, in qualche minuto di follia, l'amicizia e l'amore delle persone cui teneva di più, a parte sua madre.
Per redimersi sognava di compiere un'azione eroica, aveva bisogno di provare che, a dispetto di ciò che aveva fatto, dei suoi desideri sfrenati, era ancora il buon ragazzo che sua madre aveva sempre sognato che fosse, che Angelo e Joel avrebbero potuto tornare ad amare.
Per il momento non erano che fantasie, ma lui era uno che manteneva le promesse, anche quelle che faceva a se stesso. Aveva deciso di essere migliore e l'avrebbe fatto, quanto a divenire un eroe, lo sarebbe stato se gliene fosse capitata l'occasione ed anche a costo della sua stessa vita.
Adesso però l'aspettava una prova, forse non eroica, ma difficile.
Joel aveva messo il braccio attorno alla vita di Angelo e questo, più alto, glielo teneva sulle spalle. Avevano appena trascorso un meraviglioso pomeriggio giocando sulla spiaggia, quasi sempre da soli, condividendo scherzi, battute, segreti, toccandosi in ogni momento.
Erano andati a cercarlo e l'avevano fatto perché sapevano di poterlo affrontare. Angelo aveva capito che con Joel accanto sarebbe stato più facile, anche se questo avrebbe fatto soffrire Terry. Joel sapeva che non avrebbe mai più lasciato che qualcuno facesse del male ad Angelo.
Durante il giorno si erano parlati.
"Joel, a me dispiace per Terry!"
"Anche a me, ma tu come stai? Che hai deciso? Vuoi perdonarlo. Davvero lo vuoi fare?"
"Si, penso di si! E tu?"
"Anch'io voglio perdonarlo, però, Angelo... e di noi due... che ne sarà?"
"No! Ehi... fra noi non cambierà nulla..."
"È che io adesso... adesso so che ti amo e se lui torna con noi... ho paura che tu... non mi vorrai più bene come me ne vuoi adesso! E vorrai più bene a lui..."
"Ehi... no, Joel, io ti amerò sempre! Però Terry è nostro amico e dobbiamo perdonarlo. Ed io so che gli vogliamo bene tutti e due! E deve tornare a stare con noi."
"Si... ma... fra me e te cambierà qualcosa, vero?" insisté Joel intristito.
"No! No... e sono sicuro che Terry capirà che tra noi due è come con lui!"
"Sei sicuro che lui ti ami proprio come ti amo io?" chiese deluso
"Credo di si!"
"E tu chi a chi vuoi più bene?"
Angelo sorrise, perché finalmente aveva capito una cosa molto complicata, che non avrebbe mai pensato gli potesse accadere.
"Ma io... io vi amo tutti e due, allo stesso modo!" lo rassicurò.
"E com'è possibile?" chiese Joel, disperandosi, perché lui proprio non capiva.
"Oh, è possibile... adesso lo so! E se anche tu e Terry vi vorrete bene come prima, se è ancora così, noi tre possiamo tornare a stare insieme."
"Davvero?"
"Si, ma dobbiamo aspettare che anche lui arrivi a capire che per stare con me, deve amare te! E poi lo devi capire anche tu!"
"Faremo come vuoi" disse, ma non era per niente convinto ed anche un poco confuso.
"Ehi... Joel, io voglio bene a Terry, esattamente come ne voglio e te. E anche tu... ne sono sicuro!" riprovò a spiegarsi Angelo.
"Si... forse gli voglio bene anch'io..." concesse finalmente.
"E allora lo perdoneremo insieme e torneremo a stare con lui?"
Ma Joel gli aveva fatto gli occhi tristi e lui non aveva resistito. Si erano baciati ancora. Ci sarebbe voluto un poco di tempo, ma sarebbero arrivati anche a quello, ne era certo.
Adesso anche lui e Joel avevano scoperto l'amore, quello stesso che Terry aveva cercato di fargli capire e che lui non aveva compreso, se solo l'avesse capito in tempo, non sarebbe accaduto nulla, l'avrebbe fermato. Se almeno Terry avesse parlato più chiaro, se lui avesse capito, ma ormai poteva solo cercare di porre rimedio e ce l'avrebbe fatta.
"Vedrai che torneremo a stare bene con Terry."
"Lui ama solo te!" insisté Joel che era sempre piuttosto ostinato.
"Ed io voglio bene a tutti e due" disse Angelo "e so che anche tu lo ami e che lui ti vuole bene e che abbiamo bisogno di lui come lui ne ha di noi!"
"Oh... io ti voglio bene, Angelo, e non mi importa di altro. Va bene? E voglio bene anche a lui!" piagnucolò Joel, finalmente arrendendosi alla volontà del suo compagno, o almeno così pareva.
"Tu lascia fare a me e vedrai che Terry potrà tornare con noi e staremo bene insieme, com'era fino a due giorni fa!"
Vedendoli arrivare il cuore di Terry prese a battere forte per l'apprensione e, quando si fermarono davanti a lui, sentì come un crampo allo stomaco.
Angelo che fino a quel momento aveva guardato per terra, sollevò gli occhi fino a fissarlo.
"Siamo pronti" disse quasi senza voce, poi vedendo lo sguardo interrogativo di Terry, aggiunse "e voglio che Joel sia presente mentre parliamo, perché parleremo di una cosa che interessa anche a lui!"
Joel aveva messo su un'insolita aria di sfida. Lo guardò insolente, sebbene fosse almeno dieci centimetri più basso e di molti chili più leggero.
"Prima che lui parli, io voglio dirti una cosa sola" fece, con una voce profonda e drammatica che sorprese lui per primo "se provi un'altra volta a fargli del male, ti strappo le palle e te le infilo in gola... hai capito?"
Due giorni prima una frase del genere sarebbe stata accolta con una risata da chiunque si fosse trovato ad ascoltarla, ma in quel momento nessuno rise.
Terry fece un respiro profondo, ma gli occhi gli si riempirono ugualmente di lacrime ed ebbe un tremito di paura e di emozione, poi finalmente riuscì a parlare.
"Ho perso i due migliori amici del mondo e voi siete i migliori che abbia mai avuto, però ho imparato un sacco di cose su me stesso e adesso so che non commetterò mai più un errore come quello che ho fatto con te, Angelo, e farò qualunque cosa perché tu possa credere in me un'altra volta, e anche tornare a rispettarmi. Vi prego, datemi un'altra possibilità... anche tu, Joel!"
Angelo aveva sentito abbastanza. Si sciolse dalla stretta di Joel e corse ad abbracciare Terry, con gli occhi pieni di lacrime.
"Si, va tutto bene per me, fratellino! Ti perdono! Sei ancora mio amico e lo sarai per sempre" lo tenne stretto, mentre anche Terry piangeva.
Era contento, ma sentiva ancora dentro di sé tutta la vergogna per quello che aveva fatto.
"Devi capire una cosa, però" gli stava dicendo Angelo "per un poco io e Joel vogliamo stare per conto nostro. Sai... come fanno Richard e Kevin... te la senti di rispettare questa decisione? Pensi di poterlo fare? Di poter aspettare?"
Queste parole lo fecero piangere di più, ma, pur nella sua disperazione, capì che quello era il minimo che doveva ai due compagni.
"Noi... vedrai che non sarà per molto... ma dobbiamo prima aspettare... almeno un poco, prima che tu ci torni vicino. Capisci? È solo per un poco, fratellino."
"Si... se è quello che vuoi... che volete" disse finalmente, mentre cominciavano ad essergli chiare le implicazioni della nuova situazione che si era creata fra loro.
Più che disperato, si sentì triste. Adesso era solo davvero, le cose erano proprio cambiate. Si sentiva un po' sollevato per il perdono di Angelo, ma non sapeva come comportarsi verso la relazione che era nata. Improvvisamente capì, gli parve di capire, che Angelo non avrebbe mai più potuto amarlo e che quindi volesse bene a Joel, senza più possibilità per lui. Era anche giusto che fosse così, forse, dopo quello che gli aveva fatto.
Lo pensò e si sentì smarrito, cercò di farsi forza, ma non ci riuscì molto, perché avrebbe voluto gettarsi per terra, abbandonarsi alla disperazione, urlare tutta la sua infelicità, battere i pugni fino a morire per lo sforzo. Non fece niente, restò fermo, anzi cercò di guardare Joel negli occhi, ma non ce la fece.
"E tu sei d'accordo?" gli chiese, borbottando.
"Se per Angelo va bene" disse Joel, senza alzare gli occhi che teneva piantati per terra "ti sarò amico un'altra volta!"
Poi Terry vide che gli stava quasi sorridendo e soprattutto gli tendeva la mano.
"Tu, però non dimenticare quello che ti ho detto!" aggiunse Joel, afferrandogli la mano.
"No, no... non lo posso dimenticare!" replicò lui con solennità, stringendola forte.
Avrebbe voluto abbracciare anche lui come aveva fatto con Angelo, ma Joel restò dritto e rigido, con il volto che era tornato serio, quasi arrabbiato. Non accennò ad avvicinarsi.
In quel momento arrivarono gli altri che si erano fermati ai margini della radura, a guardarli, mentre provavano a rappacificarsi. Tommy fu il primo a correre verso di loro. Il piccolo era stato particolarmente afflitto dalla tensione che si era creata, la collera e le divisioni fra i suoi fratelli lo spaventavano.
"Allora? Avete fatto pace? Siete amici un'altra volta?" chiese con tutta l'innocenza che c'era sempre nei suoi gesti.
Angelo gli sorrise: "Certo... adesso è tutto a posto."
"Oh... finalmente! Bravo, a tutti e tre!" urlò entusiasta "E tornerai a stare con noi nella casa adesso, Terry?"
"Questo non lo posso decidere io... ma se mi volete... io ci vorrei tornare" disse sorridendo per la prima volta quel giorno.
Tommy gli buttò le braccia al collo con una tale forza che, nonostante la sua scarsa mole e quella considerevole di Terry, stava per travolgerlo. Lo baciò tutto, poi gli sussurrò in un orecchio:
"Io voglio che tu stia con noi, fratello!"
Anche gli altri si erano fatti attorno, ma Joel e Angelo si erano come scostati e Richard lo notò, perciò decise di discuterne, di mettere tutto in chiaro e, se necessario, dare qualche spinta a chi ne avesse bisogno.
"Ragazzi dobbiamo parlare... andiamo in casa" disse "Terry, aspettaci un poco quaggiù, per favore. Vorrei prima sentire quello che ne pensa Angelo."
Terry li guardò arrampicarsi nella casa.
Era consolato dalla riconciliazione, ma si ritrovò ad essere molto inquieto per quella specie di verdetto che stava per essere pronunciato a suo carico. Perché sarebbe stata proprio una sentenza a qualunque fosse stata la decisione, si disse, sarebbe stato certo di essersela meritata.
E avvertiva un'ansia anche più intensa per quello che sarebbe stato il suo nuovo ruolo nella comunità, ora che i compagni di prima erano diventati amanti e per lui non ci sarebbe stato altro posto che l'ultimo della fila.
Qualche minuto dopo sentì che lo chiamavano. Avevano deciso e gli chiedevano di salire.
Li trovò seduti nella spazio sulla piattaforma. Formavano un cerchio, ma in realtà erano sistemati a coppie: Tommy in braccio a Manuel, Richard e Kevin vicini, Mike e François si tenevano il braccio sulle spalle, Joel e Angelo stavano mano nella mano.
Lui era di troppo: si sentì strano a vederli, l'aveva immaginato, ma non pensava che facesse tanto male e gli venne da piangere.
"Angelo è convinto che tu sia sinceramente dispiaciuto" cominciò Richard, dopo che l'ebbe fatto sedere accanto a lui "ed è certo che non farai più nulla che possa dargli fastidio. Joel ci ha detto che ti ha chiarito molto bene cosa pensa... non ce l'ha detto così però!"
Qualcuno ridacchiò e Joel fece una faccia brutta, ma non ci credeva neppure lui, tanto che finì per ridere.
"Noi tutti quindi vogliamo che torni a stare nella casa, ma Joel e Angelo, per il momento, desiderano dormire per conto loro. Dicono che ne avete già parlato e che tu capisci il perché. Quindi puoi tornare con noi."
Terry abbassò la testa e strinse gli occhi cercando di non piangere:
"Si... si, capisco..." riuscì a dire, senza alzare gli occhi.
"Allora, bentornato, Terry!" gli disse Richard, abbracciandolo.
"Grazie."
Eccetto Joel, tutti sorrisero e batterono le mani.
Lui guardò per un momento solo verso Angelo e vide che gli sorrideva, si fece coraggio e alzò lo sguardo anche verso Joel che gli stava facendo una smorfia un po' buffa e poi rideva anche lui.
Terry ricevette molte strette e pacche sulle spalle che gli sollevarono almeno momentaneamente il morale, anche se il suo senso di solitudine e la sua confusione erano ancora troppo forti, perché quelle manifestazioni di affetto potessero consolarlo.
Dopo che ebbero cenato gli si avvicinarono Manuel e Tommy:
"Ti andrebbe di dormire vicino a noi, Terry?" gli chiese Manuel "abbiamo tanto spazio. Il nostro letto è così grande che in quattro o in cinque ci si sta comunque."
"Ma... l'hai domandato agli altri?" chiese Terry.
"Richard... beh... è stato lui a suggerirmelo" confessò Manuel sorridendo "ma, l'avevamo già pensato noi due. Insomma, anche Tommy ed io ti vorremmo con noi."
Tommy gli gettò le braccia al collo: "Ehi, noi ti vogliamo davvero!"
Terry sorrise.
"Allora siete tutti d'accordo? Sicuro?"
"Si, si, si!" lo travolse Tommy.
Poi Manuel gli mise un braccio sulle spalle.
"Vieni, Terry" disse "Per il momento stai con noi, fratello!"
"Oh, si... per me è fantastico! Sono contento!" disse Terry, finalmente un po' più sereno.
Più tardi, quando si sistemarono per dormire, Tommy si strinse a Manuel, poi cercò Terry e l'attirò a sé. Il piccolino aveva una capacità di dare e ricevere affetto praticamente infinita, un bisogno al quale Manuel provvedeva istintivamente e senza risparmiarsi.
L'idea di avere ora due fratelli maggiori che l'abbracciassero, lo proteggessero mentre dormiva, gli pareva un privilegio celestiale. E Terry era anche molto più grosso e forte dell'amabile, meraviglioso, sensibile Manuel. Fu deliziato a sentire la presenza e il calore del corpo di Terry proprio alle sue spalle, anche perché il ragazzo gli tese subito le braccia per stringerlo. Con le mani toccò anche Manuel che ne fu dapprima sorpreso, poi le accarezzò e le strinse, tenendole su di sé.
Improvvisamente sveglio, Tommy seguì tutti questi movimenti e gli parve di impazzire dalla felicità quando notò anche quel cenno d'intesa.
"Ti voglio bene, Terry" disse voltandosi a baciarlo "Ti voglio bene, Manuel" e baciò anche l'altro "è così bello dormire tra voi... buona notte!"
Sbadigliò e cadde addormentato in un attimo, senza ascoltare la risposta dei due.
"Buona notte, Tommy" gli dissero insieme, mentre l'accarezzavano.
Nell'oscurità si distinguevano solo le sagome dei corpi e si tenevano tutti ancora per mano, quando si addormentarono.
15 novembre 1950
Il giorno dopo riprese la normale routine mattutina: passaggio alla toilette, bagno nel laghetto o doccia per chi la gradiva, frutta e uova per colazione, mentre l'albero del pane continuava a fornire qualcosa di simile a delle frittelle.
Richard dovette inseguire Joel per medicargli la ferita e controllare che, con tutti i movimenti che aveva fatto quel diavolo, non gli si fossero strappati i punti.
Ovviamente fu Mike a bloccarlo e, mentre glielo teneva fermo, Richard poté dare un'occhiata alla ferita che stava cicatrizzandosi velocemente.
"La prossima volta, prima che tu te ne accorga ti legherò ad un albero!" fece Mike senza tanti preamboli.
"Ed io ti farò un'iniezione prima di visitarti, anche se non ne hai bisogno" rincarò Richard fra il serio e il divertito, lasciando però Joel nel dubbio "va tutto bene, però credo che ti resterà un bel segno sulla gamba! Puoi lasciarlo, Mike!"
"Poverino, non potrà più usare le calze di nylon!" buttò là Kevin, per una battuta che solo François e Richard furono abbastanza svegli da capire.
"E perché Joel dovrebbe mettersi le calze di nylon?" chiese infatti Tommy.
"Lo zio Kevin te lo spiegherà un'altra volta, piccolo" fece ridendo François.
"Ehi, la mia cicatrice è più lunga però!" dichiarò allora Mike, abbassandosi orgogliosamente i pantaloni per mostrare il segno che gli deturpava il ventre, ma anche esibendo con grande innocenza una parte considerevole dei suoi attributi.
"Ragazzo, tu hai un fascino indiscutibile, soprattutto quando ti abbassi i pantaloni!" disse Kevin che quel giorno pareva incontenibile.
"E tu, non guardarlo" ribatté pronto François che in quei battibecchi divertiti, molto frequenti fra i due, non si lasciava mai zittire "Quel fascino è tutto per me, vero, amore mio? Ma adesso rivestiti, perché direi che abbiamo dato abbastanza spettacolo!"
Stavano tutti sbellicandosi dalle risa, anche se nessuno aveva colto tutto il senso dello scambio di battute tra i due che erano molto smaliziati. Decisamente più di Richard che spesso faceva fatica a tenergli dietro ed era sempre di un candore disarmante.
"Prima di azzuffarsi con Kevin, François mi diceva che la sua gamba gli sembra guarita" fece Mike, quando si furono calmati "sono tre mesi ormai che è fasciata..."
"Si, si credo proprio che sia ora di togliere questo strumento!"
"Anche secondo me è guarito" disse Mike "vorrei togliere le stecche per guardare in quali condizioni è l'osso. Dottor Richard, vorresti darci la tua stimata opinione?"
"Certamente, dottor Mike. Lo farò con piacere!" disse prontamente Richard, sorridendo.
"Beh... ed io? Quando guarisco?" chiese Joel che non aveva smesso di guardarsi la ferita ed era un po' preoccupato anche per via di quella storia delle calze di nylon.
"Tu devi solo correre di meno e soprattutto non bagnarti la gamba. Voglio che per una settimana ti lavi tutto e per bene, ma devi lasciare asciutta la ferita. Se continui a bagnarla, ci metterà più tempo a rimarginarsi e resterà un segno molto brutto. Se invece ci stai attento, non si vedrà più nulla. Kevin, fai attenzione a questo sciagurato!"
"Si, amore mio, vedrai come lo sistemo!"
Nel frattempo Mike aveva fatto stendere il suo amato su una coperta ai piedi dell'albero e già cominciava a sciogliere i bendaggi, riavvolgendo le fasce che tenevano ferme le stecche sulla gamba.
Era un lavoro che aveva fatto tutti i giorni da quando erano arrivati sull'isola ed era per questo che le bende erano sempre pulite e la gamba non aveva sofferto per le stecche che la stringevano. Sebbene amasse quel suo ruolo di infermiere e balia, e rimpiangesse di non poterlo più svolgere quando François si fosse ristabilito, sperava con tutto se stesso che Richard confermasse la loro diagnosi e il suo innamorato fosse finalmente guarito. Avevano controllato ogni giorno, accarezzato l'osso e pregato che si saldasse bene e diritto. Anche Richard l'aveva controllato spesso, ma non si decideva a far togliere le stecche, perché non era per niente certo dei tempi di guarigione, ma forse tre mesi erano sufficienti anche per la sua estrema prudenza.
Più di tutto Mike desiderava vedere François camminare da solo. Aveva in progetto numerose escursioni e avventure per ripagarlo di tutte le volte in cui era rimasto al campo mentre gli altri erano in giro per l'isola. Non desiderava altro che di poter correre con lui sulla sabbia e gettarsi nel laghetto e fare tante altre cose insieme.
Dopo che ebbe liberato la gamba da bende e stecche fece correre le dita con molta attenzione sulla tibia, cercando di sentire al tatto il punto preciso della frattura, ma non riusciva più a trovarlo. Richard s'inginocchiò accanto e ed esaminò la gamba di François con la stessa cura. Lui se lo ricordava bene dov'era la frattura e trovò subito il punto, sotto una delle cicatrici.
"Lo senti? È qua..."
"Si... eccolo, ma credo che si sia saldato. Non ti fa male, vero, piccolino?" chiese sorridendo.
"No, dottor Mike..." rispose contento François.
"Allora forse sei guarito! Tu che ne pensi, dottor Richard?"
"Oh... concordo, dottor Mike" rispose Richard, molto professionale "François perché non provi a camminare senza le tue grucce?"
Lo aiutarono ad alzarsi e François mosse qualche passo sull'erba morbida, appoggiandosi a Mike.
"Come ti senti?" chiesero preoccupati Richard e Mike, dicendo insieme le stesse parole.
"Che bello... è bello muoversi senza bastoni! La gamba mi trema, ma... è proprio bello! Adesso devo imparare a camminare un'altra volta... vero, papà Richard?"
"Più o meno credo, e anche a piegare la gamba, perché devi tornare ad usare tutti i muscoli. È come se si fossero addormentati..."
"Ho un sacco di camminate in programma per te..." disse Mike, mettendogli le braccia attorno alla vita e sollevandolo "ti farò tornare in forma prima che te ne accorga, piccolo, vedrai!"
"Si, dottore, non vedo l'ora..." gridò François, restituendogli l'abbraccio e baciandolo appassionatamente.
Erano tutti contenti per François e solo Terry se ne stava per conto suo.
In certi momenti gli pareva di essere ancora nella foresta, da solo, anche se accanto a sé aveva i suoi amici e tutti tentavano di stargli vicini e di coinvolgerlo in quello che facevano, ma il mondo privato, così speciale, che aveva costruito con Angelo e Joel e che adesso non esisteva più, gli mancava più di quanto immaginasse.
Era per quello che, dal momento in cui era tornato, aveva cercato di tenersi occupato in tutti i modi, offrendosi di fare qualunque cosa, purché le sue mani fossero impegnate e la sua mente non avesse il tempo di pensare. Pensare equivaleva a ricordarsi della ragione per cui era così triste.
Quella mattina però non ebbe tempo di cercarsi da fare, perché Richard li chiamò tutti, dovevano parlare e, dalla faccia che aveva papà, si capiva che era una cosa seria, anche se non preoccupante, nel senso che lui era come sempre pensieroso, ma Kevin non la finiva di scherzare con François. Come sapevano tutti ormai, questo voleva dire che papà si preoccupava troppo per qualcosa che Kevin e François non consideravano particolarmente grave e presto avrebbero saputo di cosa si trattava.
Il problema, come stavano per scoprire, era che quella mattina, per la prima volta da quando erano là, non dovevano far fronte a nessuna emergenza.
Fino a quel momento avevano vissuto in una specie costante urgenza, cercando continuamente di raggiungere obiettivi e risultati. Dalla salvezza, con il naufragio e l'arrivo sull'isola, al trauma per la morte di Chris, alla sua sepoltura. Poi c'era stata l'esplorazione, non ancora completata, con la scoperta di essere assolutamente soli in mezzo all'oceano, la costruzione della casa, che aveva portato via tre lunghi mesi di lavoro spesso troppo difficile per loro, inesperti com'erano. E tutte le tempeste, subite riparandosi sotto i teli, piangendo di paura, ma avevano vissuto tutto restando sereni e tanto allegri, con tutto l'amore e l'aiuto che si erano dati. Fino a quel momento per loro era stata una grandissima avventura che fortunatamente erano nell'età giusta per apprezzare e per godere.
Ma Richard sapeva che l'infinito buon umore, lo spirito di sacrificio, quello che di bello s'era creato fra loro, era sempre stato condizionato e favorito da ciò che stavano facendo, che dovevano fare per forza, che avevano urgenza di portare a termine.
Fino a quella mattina.
Rimesso finalmente in piedi François, reintegrato Terry, per quanto possibile, medicata la ferita di Joel che sarebbe guarito in meno di una settimana, apparentemente non avevano più allarmi, pericoli e disastri cui correre dietro e potevano perciò dirsi pronti a cominciare la loro vita ordinaria sull'isola.
E il problema era tutto là.
Aveva cominciato a pensarci e a preoccuparsi già da qualche giorno e più ci pensava, più si convinceva che la parte appena conclusa della loro avventura era quella meno difficile, sebbene fosse stata densa di complicazioni e rischi da cui erano usciti quasi indenni. Tutto era stato molto concreto e si era rivelato affrontabile, a parte ovviamente la tragedia del naufragio con tutti quei lutti e la morte di Chris. Anche la disavventura di Angelo e Joel con Terry si era risolta con una profonda maturazione per tutti e tre e Richard non disperava di vederli presto tornare insieme, realmente rappacificati, in un rapporto più maturo e consapevole.
Guidare il gruppo in quella situazione, anche se spesso drammatica, che a poco a poco era diventata un'avventura affascinante, resa ancora più felice dall'intesa affettiva e perfino sessuale che avevano raggiunto, era stato anche facile, ma farli convivere, senza che si annoiassero, quando l'avventura avesse cominciato ad esaurirsi, sarebbe stato molto più complicato e impegnativo.
Aveva cercato, per quanto nelle sue possibilità, di prepararsi a guidarli anche in questo momento.
Si misero sull'erba, nel luogo dove si riunivano di solito, a cerchio, per potersi guardare e per ascoltare quello che Richard aveva da dire. Erano nove ragazzi svegli e consapevoli di vivere la più incredibile delle avventure, la cui fine in quel momento non potevano prevedere. Richard non sapeva come cominciare, a quello non aveva pensato, perciò attaccò una specie di sermone, vergognandosi subito del tono che stava usando, ma vide che l'ascoltavano ugualmente e decise di andare avanti così.
"Adesso che abbiamo una casa, che siamo tutti sani, a parte i punti di Joel" qua ci fu qualche risata "e sappiamo dove e come pescare, sappiamo dove raccogliere i frutti migliori per nutrirci, come prendere le uova degli uccelli, che spesso non sono d'accordo" altre risate "adesso che sappiamo come lavarci e che dobbiamo lavarci, vero Joel?" risate molto più forti "e che sappiamo anche come fare a non compromettere la natura di quest'isola che ci ospita, usando sempre la latrina, vero Angelo? A proposito, ti ho sentito stanotte..."
"Che ha fatto Angelo?" ovviamente fu Tommy a interromperlo.
"Glielo dico io o lo dici tu?" fece Kevin, sorridendo maliziosamente.
"Io... sta-stanotte do-dovevo fare la pipi e..." cominciò Angelo balbettando "no-non volevo scendere..."
"E hai pisciato dalla finestra?" chiese Mike incredulo.
"Ha pisciato dalla finestra?" fece Tommy scandalizzato.
"Si, ha pisciato dalla finestra" confermò Kevin "ecco perché adesso si sente la puzza. Perciò, quando avremo finito, il signorino andrà a pulire l'erba sotto la casa, filo per filo. Non è vero, Richard?"
"Beh... credo proprio di si..."
Angelo abbassò la testa, preoccupato soprattutto d'aver scontentato Richard.
"OK... incidente chiuso!" concesse Richard che non se la sentiva di essere troppo severo con Angelo e con nessuno dei ragazzi, tant'è che subito aggiunse "Dopo ti aiuterò io a pulire, va bene? Adesso però dobbiamo parlare!"
Colse lo sguardo di riconoscenza e di affetto di Angelo.
"Dicevo... che adesso mi sembra tutto a posto, credo... perché abbiamo fatto molto bene tutto quello che ci siamo proposti, insomma... e perciò penso che possiamo guardarci intorno e fare qualche progetto per il futuro!"
Aveva tutto il loro interesse e sapeva che l'adoravano, perché lui era l'uomo che li aveva guidati attraverso quella vicenda, aveva fatto in modo che nella sua drammaticità fosse addirittura divertente ed ora pendevano dalle sue labbra per sapere come sarebbe proseguita, quale sarebbe stata la prossima avventura
E, se l'avesse saputo, gliel'avrebbe detto, capì che qualunque cosa avesse raccontato, gli avrebbero creduto, aveva la loro totale, assoluta fiducia.
Per un momento, per un tempo brevissimo, si compiacque di quella situazione, ma fu solo un momento, non era nella sua natura inorgoglirsi. Riagguantò subito la dimensione molto pratica a terrena della loro condizione, li guardò e pensò che li amava davvero tutti e Kevin più degli altri, erano i suoi ragazzi e quello che stava per dirgli non era né bello, né affascinante e forse nessuno di loro si aspettava di sentirselo dire, ma lui era certo che fosse necessario.
"In questi mesi" disse "non abbiamo incontrato nessun altro essere umano oltre a noi e questo dovrebbe farci pensare che l'isola, a parte il villaggio abbandonato dall'altra parte, sia stata raramente visitata da altri uomini. Nelle nostre pur limitate esplorazioni non abbiamo trovato altre tracce, se non detriti e rottami gettati dalla corrente sulle spiagge. Credo che il primo e più urgente dei nostri impegni sia quello di tornare al villaggio e cercare di capire, se possibile, chi erano quelli che ci abitavano, come e perché sono arrivati sull'isola, i motivi per cui sono morti e quando. La mia non è una semplice curiosità, ma il saperlo ci permetterebbe di evitare che accada anche a noi."
Fra i ragazzi ci furono reazioni diverse, Terry rabbrividì visibilmente al ricordo di quei posti, Angelo si strinse a Joel, Tommy era chiaramente spaventato all'idea di andare da quella parte e scoprire chissà quale terribile segreto.
"Ma, papà, tu credi che dovremmo proprio saperlo?" chiese infatti, interpretando, il pensiero di tutti.
"Si... so che non sarà piacevole, ma dobbiamo farlo, ragazzi" disse Richard e i grandi furono d'accordo, capendo che non potevano dirsi al sicuro se non avessero scoperto il motivo di tutte quelle morti "Quelle persone potrebbero aver commesso qualche imprudenza, oppure sono state vittime di una calamità o malattia. Qualunque cosa sia stata, dovremmo cercare di scoprirlo, per evitare che accada anche a noi."
"Richard ha ragione. Dobbiamo saperlo. È per la nostra sicurezza!" convenne Mike.
"Se siamo tutti d'accordo, ci andremo appena François e Joel saranno in grado di camminare senza troppe difficoltà e, se qualcuno non ne ha voglia, potrà restare al campo, ma, voi lo sapete, io non voglio che ci dividiamo."
"Io non ho paura!" disse subito Joel "E poi si capisce che sono morti da un sacco di tempo!"
"Terry, ci verrai anche tu?" chiese Kevin.
"Solo se ci andiamo tutti! Non... io non voglio restare qua da solo!"
"Angelo?"
"Per me va bene, non ho paura io!"
"Ehi... stavolta vengo anch'io, OK?" disse François un po' a tutti.
"Pensi di farcela? E la tua gamba?" chiese Mike.
"Si, si, con tutti gli esercizi che mi farai fare in questi giorni!"
"Starò attento che tu non cada" disse Mike sogghignando.
"So che lo farai!"
"Bene, è deciso, andremo da quella parte" concluse Richard "siamo d'accordo. Aspetteremo ancora qualche giorno in modo che la gamba di François si sia irrobustita. L'osso sta bene, il problema adesso è tutto nei muscoli, credo... che una settimana di esercizi sarà sufficiente e fra cinque o sei giorni anche la ferita di Joel sarà chiusa. Dopo la visita al villaggio, però, dovremo programmare anche altro..."
Richard lasciò la frase in sospeso.
"Altro?" chiese Tommy.
"Altro che?" fece eco Joel.
"Si, ragazzi, dobbiamo parlare di altro e so che non è un bell'argomento. Almeno non per tutti."
Lo guardarono.
Sapevano già bene che quando Richard la prendeva alla lontana era sempre per dargli delle fregature alle quali però nessuno era in grado di sottrarsi. Aveva cominciato allo stesso modo quando li aveva costretti a vestirsi bene per la cena. Ogni sera dovevano indossare camicie e pantaloni lunghi e soprattutto gli odiati cravattini.
"Come certamente saprete, per averli visti, a Venture Island, per fortuna o per sfortuna, a seconda dei punti di vista, abbiamo un sacco di libri..."
"No!" gridarono tutti quasi all'unisono, capendo subito in che guaio stavano per cacciarsi.
A dire il vero, Richard aveva già provato a convincere qualcuno a leggere qualcosa, nei momenti liberi, ma, a parte Manuel e un po' François, nessuno ci aveva pensato, neppure lontanamente. Perciò a sentir nominare i libri, tutti avevano capito che stava per accadere qualcosa di spiacevole.
"L'avevo detto che non dovevamo scaricarli dalla Venture!" bisbigliò Kevin a voce non abbastanza bassa.
"Dovevamo approfittare della tempesta per gettarli fuori bordo!" rincarò François, ma un po' scherzava "Pensate, sarebbe bastato che la Venture si infrangesse sulla scogliera da babordo e adesso non saremmo qua a discuterne. Però ne avremmo parlato tutti con grande rammarico, Richard" concluse sogghignando.
"Siamo stati sfortunati, ragazzi!" fece Mike, ridendo anche lui, rassegnato.
Qualcuno era intimorito, qualche altro, scherzava, anche se erano rimasti tutti, compreso Kevin, molto sorpresi, perché non s'aspettavano proprio che Richard, nel bel mezzo all'oceano, potesse costringerli a studiare, perché era di quello che stavano per parlare. E, come avevano già imparato, papà Richard era uno che scherzava raramente e i libri e lo studio erano per lui cose estremamente serie ed importanti.
"Dicevo che abbiamo alcune centinaia di libri. Ci sono manuali che potrebbero esserci utili, per esempio sull'uso delle erbe, e ce n'è qualcuno anche sugli animali. Poi ci sono molti libri di scuola, di grammatica e letteratura inglese, di aritmetica e algebra, di geometria, di geografia, di scienze. Ci sono anche alcuni romanzi."
"No, Richard, ti prego" proruppe Tommy, come in un'invocazione cui tutti si accodarono, cominciando a pregarlo.
"Ragazzi!" tagliò corto Richard, alzando un po' la voce per calmare quel coro di proteste. Sollevò anche un sopracciglio ed assunse una posa insolita, ma estremamente efficace. Allora capirono tutti che la faccenda era seria e improvvisamente tacquero.
"Ragazzi" riprese e nessuno più l'interruppe "io non vi ho mai obbligati a nulla, lo sapete, ma questa volta devo insistere, mi dispiace! Penso che tutti abbiamo bisogno di avere delle responsabilità precise e alla nostra età l'impegno deve essere soprattutto con i libri. Non siamo fuori dal mondo e abbiamo sempre detto che il nostro mondo è questo, perciò prepariamoci a vivere. Non sappiamo per quanto tempo ancora resteremo qua, ma il tempo comincerà presto a sembrarci lungo se non abbiamo qualcosa da fare e degli obiettivi da raggiungere. Studiare ci aiuterà a imparare qualcosa di nuovo e comunque faremo solo quello che ci piacerà. Non ci saranno voti, né promozioni, né professori cattivi a perseguitarvi. Davvero credete che io possa fare una cosa del genere?"
Tommy, Joel, Angelo e Terry, ma anche Manuel, Mike e François scossero la testa convinti, perché non immaginavano che lui potesse trasformarsi per incantesimo in uno dei tanti professori arcigni e stupidamente inflessibili che avevano conosciuto nelle loro sfortunate frequentazioni della scuola pubblica.
"Quando ho preparato la biblioteca della Venture, ho pensato proprio a mettere insieme quello che poteva servirci per osservare la natura, conoscere i nomi degli animali e delle piante che vediamo, sapere a quale specie appartengono, se sono commestibili o pericolose. Credo che siano cose utili, no? E poi ci ho messo anche libri di letteratura, grammatica e matematica che dovevano servire per mantenerci in esercizio e che adesso potremo usare per essere pronti a riprendere la scuola, quando torneremo a casa."
"Ehi... un momento! La nostra casa è questa!" gridò Mike, saltando in piedi.
"Mike..."
"No... no! È qua casa mia!" urlò agitato, mentre François tentava di calmarlo.
"Mike, nessuno mai ti costringerà a fare quello che non vuoi" provò a convincerlo Richard "ma dobbiamo prendere in considerazione la possibilità di tornare. Siamo ancora ragazzi, non possiamo decidere adesso per tutta la vita."
"Casa mia è qua, con François, con voi" disse Mike solo un po' placato.
"Ascoltami, Mike, anche per me è questa la mia casa" disse Richard "è la casa che tu e Angelo avete progettato e che insieme abbiamo costruito, è la nostra casa ed è la migliore che tutti noi possiamo immaginare in questo momento. E questa è un'altra cosa di cui vorrei parlarvi. Ho pensato molto anche a questo fatto e vorrei proporvi un patto. Se siamo tutti d'accordo, ovviamente. Vorrei però che tutti ci pensaste bene."
Vide che lo fissavano, ancora più attenti. Era una cosa complicata da dire e ancora più difficile da decidere, ma voleva che tutti lo capissero e che ciascuno si assumesse la propria parte di responsabilità nella decisione.
"Ragazzi... beh, dei libri parleremo dopo, perché c'è una cosa che vorrei dirvi ed è certamente più importante. Quello che sto per dire, anzi che voglio proporre è che, insomma, è che tutti insieme prendiamo una decisione, un impegno. Sarebbe l'impegno di restare qua, finché ci troveremo bene e soprattutto finché non saremo certi che il nostro ritorno non possa dividerci."
"Grazie, Richard!" fece Mike, rasserenato da ciò che aveva appena ascoltato, con gli occhi che gli brillavano, perché aveva compreso il reale significato di quelle parole.
"No, aspetta, Mike, aspetta... credo che dovremmo prima capire bene e tutti e poi vedere se siamo d'accordo. Ragazzi avete compreso quello che ho detto? Tommy? Joel, Angelo? Terry, tu? Manuel, François? Kevin, amore mio? Avete capito quello che volevo dire, cosa intendevo?"
Qualcuno fece di si con la testa, ma ci fu qualche sguardo un po' interrogativo, così Richard preferì ripetere.
"Quello che voglio dire e che vi sto proponendo è un patto fra noi. Se dovessimo avere l'opportunità di tornare, se qualcuno dovesse arrivare sull'isola e potesse riportarci tutti indietro, discuteremo fra noi e decideremo insieme ciò che faremo. E l'impegno che prendiamo adesso è che resteremo tutti sull'isola, finché saremo ragionevolmente certi che non verremo divisi contro la nostra volontà una volta tornati negli Stati Uniti. Avete capito tutti? Siete sempre d'accordo?"
Si guardarono un poco, ma tutti parvero condividere, facendo segni con la testa, anche se c'era ancora qualche sguardo interrogativo da parte dei più piccoli.
Manuel fu il primo a parlare:
"Richard, io e Tommy faremo sempre quello che deciderai tu. Ci hai salvati, stiamo bene, siamo felici e tutto questo è soltanto merito tuo, perciò continueremo a seguirti ovunque tu vada e qualunque cosa tu decida!"
"Grazie, Manuel" fece Richard, commovendosi davanti ad una devozione così incondizionata.
Terry, Joel e Angelo gli sorrisero tutti e tre e dissero di si in tutti i modi, con la testa e con le parole.
"Richard, noi ti seguiremo sempre" fece François "perché sappiamo che, prima di prendere una decisione, tu ci ascolterai e farai comunque il meglio per noi!"
"OK, Richard, amore mio, è giusto quello che ci proponi" disse Kevin "nessuno di noi vuole rischiare di essere diviso dagli altri ed è giusto che valutiamo attentamente le possibilità del nostro ritorno, faremo come dici, ma questo è sempre nell'ipotesi che qualche nave o barca o aeroplano passi davanti alla laguna e ci veda."
"E che noi vediamo loro" aggiunse François.
"Già, ma se arriva qualcuno con cattive intenzioni?" fece Manuel.
"Quali cattive intenzioni?" chiese Terry, ma anche gli altri erano curiosi e allarmati.
"Qualcuno, per esempio dei pirati: ce ne sono da queste parti, no?" disse Manuel, sempre il più fantasioso di tutti.
"Ma a noi non avrebbero niente da rubare!" obiettò Terry.
"No, ma se sbarcassero qua per seppellire un tesoro, potrebbero vederci e ammazzarci tutti, perché non vogliono testimoni, no?"
Tommy corse a stringersi a Richard, spaventato, ma con un mezzo sorriso sulle labbra all'idea di trovarsi faccia a faccia con dei veri pirati che seppellivano un tesoro.
"O magari ci portano via tutti i libri" buttò là François e scoppiarono tutti a ridere.
"Tornando ai libri" insisté Richard cogliendo l'occasione di riportare il discorso dove più gli premeva "A parte gli scherzi, studiare è importante e qualcosa faremo."
E così si accordarono. Richard e Kevin, i due che avevano frequentato le scuole più degli altri, avrebbero tenuto ogni mattina lezioni di letteratura e grammatica, matematica, scienze e geografia.
Ovviamente nessuno sarebbe stato obbligato a frequentarle, ma Richard ci teneva e tutti capirono che avevano meno possibilità di evitarle che se ci fossero stati obbligati con la forza.
"Bene, ragazzi, domani si comincia allora!"
"No!"
Fu un gemito quello che sfuggì alle labbra di Tommy e fu anche l'unico suono che si udì, prima che Richard insensibilmente riprendesse a parlare.
"Ehi, ragazzi, siamo tutti d'accordo anche su quello che vi ho detto prima? Di discutere su quando e come andarcene, se dovessimo averne l'occasione?"
Li guardò e da tutti ebbe un convinto cenno di assenso, oltre al sorriso sereno di Mike e François.
"E una cosa ancora, Manuel ha ragione. Credo che, se davvero dovesse arrivare qualcuno, dovremmo poter decidere se farci vedere oppure no, perché non potremmo conoscerne le intenzioni, che siano buone o cattive. Perciò cercheremo di non farci vedere subito. Sulla spiaggia non ci dovrà mai essere nulla di incustodito, nessuna traccia. Nasconderemo la lancia dopo ogni battuta di pesca e la metteremo dietro la duna, a ridosso del ruscello. Va bene, Terry?"
"Si, papà, ma se arriva qualcuno mentre siamo in mare?"
"Pescare è indispensabile e correremo il rischio, non possiamo fare altrimenti. Comunque, se anche qualcuno dovesse sbarcare e andare appena oltre il ruscello arriverebbe alle Tommy's Falls e qua non possiamo certo nascondere quello che abbiamo costruito, la casa non la possiamo coprire con un telo, né possiamo cancellare in pochi minuti tutte le nostre tracce. Stiamo solo attenti a guardare spesso l'orizzonte per controllare se si avvicina qualcuno e se possibile capire qualcosa prima che si avvicini troppo."
"E se arrivano davvero?" chiese Tommy con gli occhi sgranati "Che facciamo?"
"Ci nascondiamo e ne parliamo fra noi" disse Kevin.
"E se ci scoprono?"
"Ne parliamo anche con loro e gli spieghiamo che prima dobbiamo discutere per conto nostro!" fece Mike.
"Credo che si possa dire così. Stiamo attenti però!"
E con questo parve che l'argomento fosse esaurito. C'era poi un'altra cosa da discutere, che era molto meno preoccupante.
"Ragazzi, forse nessuno di voi ci ha pensato e neanche io me l'ero ricordato, ma stamattina François ha guardato il calendario e ha fatto due conti" Richard fece una pausa ad effetto, mentre anche François subiva gli sguardi inquisitori di tutti e già se la rideva "insomma, tra una settimana è il giorno del Ringraziamento e fra poco più d'un mese è Natale!"
I ragazzi furono entusiasti, si alzarono tutti in piedi lanciando grida d'eccitazione così forti che la radura ne fu piena. Hook contribuì con i suoi ululati e immediatamente si unirono anche tutti gli uccelli dell'isola e forse di tutto il Pacifico meridionale.
Forse quell'euforia non era tanto per le feste in quanto tali, ma solo perché c'era stato qualcuno a ricordargliele. Le loro case potevano anche essere lontane, non esistere affatto, essere state inospitali o poco desiderabili, ma erano tutti troppo piccoli per aver perso il gusto a quei giorni speciali, anche se per molti di loro non erano mai state altro che occasioni per sentirsi diversi da quelli che le celebravano in famiglie normali.
"Dobbiamo mangiare il tacchino" cominciò a gridare Tommy "Dobbiamo mangiare il tacchino."
"Eh già... vado a prenderlo in macelleria, però torno fra tre mesi, perché devo farmela tutta a nuoto!" scherzò Kevin.
"Papà, tu credi che i Padri Pellegrini protesterebbero se, invece di un tacchino, mangiassimo un pellicano ripieno?" chiese Mike che non aveva mai abbandonato l'idea di approvvigionarsi di cibo andando a caccia. Non ne avevano più parlato, ma quello forse era il momento giusto per tornare sull'argomento.
"E come vorresti catturarlo?" chiese Terry anche lui molto interessato, prima che Richard potesse obiettare qualcosa.
"E di cosa lo riempiamo?" fecero quasi in coro Angelo e Joel cui mangiare un tacchino ripieno pareva l'anticamera del paradiso.
"Boh... certamente di interiora soffritte, poi di uova lesse e anche di verdura e di qualcos'altro ancora" rispose pronto François "io lo saprei preparare. Voi prendetelo, a cucinarlo ci penso io!" concluse.
"Anche ad ucciderlo e spennarlo?" s'informò Richard che, pur desiderando mangiare un poco di carne in alternativa al pesce, non intendeva prestarsi in alcun modo né alla cattura, né tanto meno all'uccisione e alla preparazione. Si sentì in colpa per quella che era un po' un'ipocrisia, ma non poteva farci niente. A mangiarlo l'avrebbe mangiato, ma quanto a vederlo prima vivo e zampettante e poi doverlo uccidere e poi fargli chissà cos'altro, non se la sentiva proprio.
"Si... si, Richard, tu non preoccuparti" lo rassicurò François con noncuranza "ci penso io. Mia nonna era molto pratica ad uccidere le galline e a prepararle. La guardavo sempre e so come si fa. E i pellicani... beh, sono uccelli anche loro, no?"
"Povero pellicano..." mormorò Tommy, quasi in lacrime.
"Dobbiamo cercarne uno bello grosso. Siamo in nove e abbiamo molta fame" aggiunse Mike, insensibilmente.
"Possiamo catturarne anche più d'uno, ce ne sono tanti!" aggiunse Terry, facendo definitivamente piangere Tommy.
Mike era sempre il più affamato di tutti, tanto da far sorgere il dubbio che l'abilità culinaria di François avesse il fine segreto di nutrirlo meglio possibile. Anche tutti gli altri non erano da meno, però, quanto ad appetito e a soddisfazioni che davano al cuoco e al suo aiutante.
"È vero, alla riserva ci sono tutti i pellicani che ci servono" disse allora Richard, finalmente convinto e dando quindi la sua approvazione.
Era sempre stato contrario a cacciare gli uccelli, ma si rendeva anche conto che non avrebbero potuto mangiare per anni soltanto pesci, uova e frutta. Pretenderlo da quei ragazzi sarebbe stato più crudele che uccidere qualche uccello.
Il luogo che aveva chiamato 'la riserva' era il versante sud dell'isola, abitato da una numerosa colonia di pellicani, cormorani, sule, albatri e altri uccelli. Il fianco della montagna a partire dal laghetto superiore e giù fino al mare era loro territorio esclusivo. Lungo il pendio e poi sulla parete verticale di scogli che fronteggiava il mare, i nidi erano un po' ovunque, costruiti e sistemati secondo le abitudini di ciascuna specie, sugli alberi e sul terreno, in mezzo all'erba e sulle pietre, fatti di fango e sterpi. In quei mesi la riserva aveva rifornito i ragazzi di uova di tutte le dimensioni e ovviamente sempre fresche.
I ragazzi avevano perfezionato nel tempo la tecnica di sottrazione delle uova. In genere uno di loro spaventava il futuro genitore il cui nido era stato scelto per il prelievo, mentre un altro era lesto a prendere le uova. Qualcuno si era preso qualche beccata riportando dei lividi, ma nel complesso le incursioni erano sempre state incruente, anche se c'era un potenziale pericolo per il fatto che gli uccelli nidificavano in grandi colonie e quindi poteva esserci qualche esemplare pronto a difendere la specie. Le uova sottratte venivano, comunque, prontamente rimpiazzate dalla femmina e il giorno successivo altri predatori, in pantaloncini e maglietta, quelli di turno ai rifornimenti, tornavano ad attaccare, in una zona diversa della colonia. Erano abbastanza certi che, nei tre mesi di permanenza, non avevano creato nessuno squilibrio all'ambiente dell'isola.
Adesso però si trattava di convincere un pellicano, uccello piuttosto grosso e forse battagliero, a fare da portata principale per il pranzo di Thanksgiving. E non sarebbe stato facile.
"Va bene, ragazzi" disse Richard "ma dobbiamo stare molto attenti a non spaventarli, a rispettarli se possibile, anche se poi li mangeremo, altrimenti, potrebbero decidere di andarsene su qualche altra isola e noi rimarremmo senza uova, oltre che senza, diciamo, tacchino per il Thanksgiving!"
"Ce ne sono a migliaia. A chi volete che interessi se uno viene a pranzo da noi quel giorno!"
Risero tutti alla battuta di Mike.
"OK, ridiamoci sopra, ma ricordiamo che dobbiamo prendere soltanto quello che ci serve e solo perché ne abbiamo bisogno."
"Ehi, ma come facciamo a prenderli?" insisté Terry.
"Potremmo usare proprio le tue reti da pesca" propose Mike.
"Forse" i due si guardarono negli occhi e già stavano intendendosi su come e cosa fare.
"Non dovrebbe essere difficile" fece Mike.
"Dobbiamo stare attenti a non strapparla, però!"
"Ne abbiamo parecchie, dovreste usare la più solida" disse François.
"No, ce ne serve una leggera, perché dobbiamo lanciarla" concluse Terry "ma chi la getta?"
"Tu e chi sennò?" sentenziò Richard, puntandogli il dito.
"E perché io?"
"Perché sei il migliore, no? Anzi comincia ad esercitarti!"
"E chi fa la parte del pellitacchino del Thanksgiving?"
Trascorsero buona parte della giornata a giocare con la rete e al tramonto l'idea già non pareva più tanto bizzarra. Terry, sfruttando la sua esperienza di pescatore e i movimenti imprevedibili dei suoi allenatori, raggiunse in fretta una buona abilità nel lancio. A metà strada, pensò Richard, tra un gladiatore reziario ed un pescatore indigeno dei mari del sud.
Per i pellicani e le altre specie dell'isola stava per aprirsi la stagione della caccia, un periodo decisamente spiacevole, ma, si disse, lui doveva pensare a nutrire i suoi cuccioli, non a fare della filosofia. E i cuccioli di uomo, che qualche dio gli aveva affidato per un suo disegno imperscrutabile, avevano bisogno di carne. Non essendoci manzi per fare i succulenti hamburger che tutti avrebbero preferito, toccava a qualche pellicano o simile di sacrificarsi. E che il dio della natura, quello che proteggeva i pellicani e i pesci, di cui loro si nutrivano da mesi, li perdonasse.
Nel pomeriggio si riunirono un'altra volta e cominciarono anche a guardare i libri per l'apertura della scuola che ci sarebbe stata il giorno dopo. Era da poco tramontato il sole e se li passavano l'un l'altro, guardandoli come se fossero oggetti sconosciuti.
Richard fu subito molto categorico. Un paio d'ore al giorno per sei giorni alla settimana non avrebbero fatto star male nessuno.
"Anche per Thanksgiving?" chiese a quel punto Tommy spalancando gli occhi, tentando apertamente di impietosirlo.
"No, giovedì prossimo sarà festa e anche per Natale faremo qualche giorno di vacanza!" lo consolò Richard, senza farsi commuovere.
"Oh, papà, ma ci darai i voti?"
"No, scemo, solo baci. Va bene?"
Questo parve un po' consolare il piccolino che gli saltò al collo per prendersi subito un anticipo.
"Ehi... ehi... ehi... Richard..." cominciò a dire Kevin alzando la voce man mano che andava avanti con il discorso "se giovedì prossimo è Thanksgiving... oh Cristo! Allora vuol dire che... che più o meno tre settimane fa era Halloween!"
"No! No! No!" urlarono i ragazzi, scuotendo tutta l'isola un'altra volta.
"Ce lo siamo scordati! Non ci posso credere" si disperò François.
"No, Halloween, no! Non si può dimenticare!" urlarono altri.
"Avrei potuto preparare dei dolci" si rammaricò François "con tutta la frutta che abbiamo si può fare anche la confettura, forse perfino tentare di fare della gelatina. Basta scegliere i frutti più maturi e cuocerli. Si, si, anche la gelatina è facile da ottenere!"
"Ma allora" annunciò Richard, facendo una pausa ad effetto "potremmo fare un Halloween speciale! Che ne dite, ragazzi?"
"Si, si, si!" gridarono tutti.
"Per quest'anno e solo per noi cittadini della Repubblica Democratica di Venture Island, Halloween verrà dopo il Thanksgiving, ma un po' prima di Natale!" dichiarò solennemente "Sarà... vediamo un po'... si! Lo faremo nella notte di Santa Lucia, quella che nell'emisfero boreale, cioè quello di sopra, quello dove si trovano gli Stati Uniti d'America, la nostra patria, dov'è il Massachusetts, è la notte più lunga dell'anno!"
"Si, si! Facciamolo!"
"Ci travestiremo tutti e poi andremo in giro per l'isola... faremo scherzi... a tutti... a tutti, anche... a Tommy!"
E si voltò fulmineamente per fare il solletico alla vittima, prescelta solo perché aveva avuto la sfortuna di trovarsi accanto a lui.
"Si!" urlarono entusiasti tutti quanti, tranne ovviamente Tommy che in quel momento proprio non poteva.
Richard avrebbe volentieri fatto il solletico a Kevin che era alla sua destra, ma in quel caso sarebbe finita in un altro modo e non sarebbe stato decoroso, per il presidente della repubblica appena proclamata, mettersi a fare l'amore davanti ai suoi cittadini ed elettori plebiscitari. A Tommy, comunque, non dispiacque che Richard lo facesse morire dal ridere.
"Ehi, François ci preparerai molti dolci, non è vero?" chiesero speranzosi Mike, Terry e Angelo.
"Beh, credo che François potrebbe cominciare ad esercitarsi fin da ora" disse Richard, dopo che si furono un po' calmati "farà delle prove con la frutta e noi potremmo di volta in volta assaggiare, così celebreremo degnamente Halloween! Che ne pensate?"
"Si! Facciamo così."
"E tu, François, che ne pensi?"
"Si può fare, a patto che tutti aiutino, naturalmente!"
"Certo, ti aiuteremo tutti!"
Così decisero che il tredici di dicembre avrebbero celebrato uno specialissimo Halloween.
A Richard pareva che nei loro rapporti fosse subentrata una specie di fluidità. Erano sempre più quell'unico, complesso organismo cui aveva cominciato a pensare da tempo. I piccoli non avevano neppure più bisogno di parlarsi, perché ormai comunicavano a gesti, con le espressioni del volto, con il linguaggio dei corpi. Questo era bellissimo da vedere, da capire, specie per il fatto che fra loro c'era un'altra volta Terry, riammesso alla confidenza prima da Tommy e Manuel e poi anche da Angelo. Solo Joel non l'aveva ancora accettato, ma probabilmente era solo paura e gelosia di dover dividere Angelo un'altra volta con lui. Anche quella situazione però si sarebbe appianata. Richard ne era certo.
Quella sera, dopo la cena, giocavano a qualcosa, forse a ma-jong, sfruttando i bagliori del fuoco che Terry e Manuel avevano ben alimentato. Era un passatempo che affrontavano con la massima serietà, sfidandosi e ridendo, concentrati, legati da qualcosa che era molto più forte della solidarietà. Non si stancava di osservarli.
Mike e François avevano avuto voglia di fare una passeggiata e se ne erano andati da qualche parte, forse sulla spiaggia. Anche lui desiderò di poter stare da solo con il suo innamorato, fece un cenno e Kevin gli sorrise.
"Ragazzi, noi camminiamo un poco, vi dispiace?" chiese alzandosi e tendendo la mano al compagno.
"No, no..." dissero tutti, chi sorridendo, chi, più sfacciato, facendo l'occhiolino.
"Ce ne andiamo da Chris... saremo là. OK?"
"Ma tornate presto, vero?" chiese Tommy.
Lo rassicurò con un bacio, poi prese Kevin per mano e lo guidò verso la collina, ritrovando quasi a tentoni il sentiero.
La collina su cui era la tomba di Chris, di lato al campo, era diventata una specie di pensatoio. Dicevano 'siamo da Chris' quando andavano sulla collina per parlare tra loro e anche solo a trascorrere un po' di tempo, oppure se qualcuno aveva voglia di star solo a guardare il tramonto e vedere il sole perdersi dietro l'orizzonte.
Passarono davanti alla tomba dell'unico ragazzo che avevano perduto nel naufragio. Lì accanto c'erano sepolti altri tre uomini, due dell'equipaggio ed uno degli assistenti, i cui corpi erano stati restituiti dal mare nei giorni successivi alla tempesta. Anche per loro avevano celebrato delle esequie semplici, avevano pianto, meno che per Chris, avevano preparato le tombe e le targhe con i nomi e la data di morte, non con quella di nascita che non avevano trovato scritta da nessuna parte.
Venture Island aveva quindi due cimiteri e presto avrebbero cercato di scoprire qual era il segreto dell'altro, quello del villaggio.
Per il momento Richard sperava di scoprire un segreto cui teneva di più, per se stesso e soprattutto per Kevin.
Andarono a sedersi davanti all'oceano, in un piccolo avvallamento subito dietro alla tomba di Chris. La vista che si godeva da quel punto, come molte altre a Venture Island, era emozionante. La distesa del mare brillava e il cielo, appena rischiarato da un quarto di luna, si rifletteva nell'acqua, fino all'orizzonte.
Il silenzio era assoluto. Per quella notte le onde parevano essersi fermate, non rifrangendosi più sulla scogliera, e il rumore della cascata era smorzato dalla collinetta che avevano aggirato. Anche il vento, solitamente forte sull'isola, si era ridotto ad una brezza che muoveva appena l'aria, portando con sé il profumo dei fiori, ma quasi non producendo rumore.
Se ne stettero là. Richard gli teneva il braccio sulle spalle mentre Kevin teneva lo sguardo fisso su un punto lontano, si lasciava cullare. Aspettava che gli chiedesse di Malcom e di suo padre. Sapeva che l'avrebbe fatto. Poteva parlargliene di sua iniziativa, ma, come sempre, gli mancava il coraggio di articolare quelle parole. Le aveva trovate, sapeva già quali sarebbero state, quello che avrebbe detto, ma occorreva proprio che qualcuno glielo chiedesse. In passato era stato più volte obbligato a farlo, ora doveva esserci il desiderio che Richard avrebbe espresso.
"Kevin, piccolo, tu sei tutto per me ed io..." lo sentì dire, senza che aprisse gli occhi, cullato dalle carezze "sono così felice... "
Se ne stavano abbracciati stretti, ogni tanto Richard lo baciava sul collo o tra i capelli e l'accarezzava.
Fu così che glielo chiese, rispondendo solo ai baci e alle carezze, si preparò a soffrire, ma ne fu felice, perché fu per amore.
"Promettimi che non cambierai idea su di me" disse.
"Eh... e perché?"
"Perché è come se avessi ucciso mio padre! Si, in realtà l'ho quasi fatto!"
"Kevin" e Richard si raddrizzò.
"Hai già paura, vero?" fece lui rassegnato.
"Non essere sciocco" gli disse serio Richard "Voglio saperlo solo perché tu ti possa liberare di questo segreto. Se vuoi, dimmelo ora, amore mio, e ti giuro che ti sentirai meglio. Ti va di raccontarmelo?"
"Si, si, ma so che dopo non sarà lo stesso, con te..."
"Ti prego, Kevin, hai così poca fiducia in questo tuo povero innamorato?"
"No, amore mio, no..." cominciò ad agitarsi, a tremare "ti prego, non dirlo neppure, non dire questo ti prego!"
"Ehi, calmati."
Lo baciò e l'accarezzò finché non si fu tranquillizzato. Dall'espressione spaventata capì che quelle che Kevin avrebbe pianto tra un po', perché avrebbe sicuramente pianto, sarebbero state lacrime molto amare e che lui non avrebbe potuto fare nulla per diminuire il dolore e lo strazio di quel ricordo. Però era necessario che ne parlassero e si liberasse di quel peso. Era indispensabile per lui, più che per il loro rapporto che poteva continuare anche senza quelle rivelazioni.
Era un sacrificio che doveva essere compiuto e quella di Kevin era certamente la più brutta fra le brutte storie di quei ragazzi, la peggiore.
"Lui ha" strinse gli occhi per dirlo "...ammazzato Malcom, poi ha ferito me ed io l'ho colpito... due volte, con la mia mazza da baseball" rabbrividì e Richard lo strinse forte.
"Parla adesso, Kevin, e sarà l'ultima volta. Te lo giuro!" lo incoraggiò.
"E a Mike e François?"
"Glielo dirò io, così forse riuscirai a non pensarci più."
"Non ce la faccio, non posso non pensare... dio sa se non vorrei farlo."
"E invece lo puoi fare, assieme a me, a noi, qua a Venture Island. Non capisci che fortuna hai avuto? Sei con me a seimila miglia da Boston. Non potresti essere più lontano da tutto e più irraggiungibile e non tornerai tanto presto da quelle parti. Almeno non credo."
Ancora uno sguardo fra loro.
"Dimenticare è difficile, Richard, perché io ricordo tutto. Tutto, Richard, assolutamente tutto. Ricordo soprattutto il sangue, perché c'era sangue. Di Malcom, di mio padre e il mio. Ed era tutto dello stesso colore. È buffo no? Tre persone, ma il sangue aveva lo stesso colore. Uno si aspetta... boh... chissà cosa. Ero tutto coperto di sangue, sulle spalle, sulle braccia, le gambe. E mi colava dal dorso, cadeva e gocciolava lungo le dita, per terra, sul tappeto...
"Lui ci ha scoperti...
"Era quasi sempre ubriaco, beveva molto. Cominciò subito, il giorno stesso in cui bussò alla nostra porta. Non sapeva che mamma era morta e fu Malcom a dirglielo, quando arrivò a casa. Lui aveva cominciato a cercarla dopo avermi abbracciato. Capii che non sapeva nulla e mi spaventai ancora di più. Ammutolii e mi accovacciai in un angolo. Lui girava e gridava. Arrivò Malcom e glielo disse.
"Quasi svenne. Mi ricordo che urlò che era colpa nostra, che non avevamo saputo curarla. Quando restammo soli, Malcom mi disse che mio padre era malato, che era stata la prigionia, a ridurlo così male. I giapponesi... non so cosa gli avevano fatto... e ora papà era malato di nervi. Dovevo stare attento a lui.
"Papà cominciò a bere ed avevo sempre più paura, tanto che qualche volta mi capitò anche di bagnare il letto, come facevo quando era morta mamma, nonostante Malcom cercasse in tutti i modi di rassicurarmi. Noi... noi lo tolleravamo in casa e praticamente non gli parlavamo, anche se era mio padre. Sono stato terribilmente cattivo con lui..."
"Avevi dodici anni, non potevi capire o fare diversamente... se Malcom ti diceva di fare così. Non potevi..."
"Si che potevo e non ho fatto nulla. Ero capace solo di respingerlo. Quando si avvicinava, cominciavo a tremare e piangevo come... come uno stupido. E allora lui si allontanava avvilito. Loro due cominciarono a litigare, credo per causa mia. Forse papà sospettò qualcosa di noi e arrivò anche a proibirgli di avvicinarsi a me. Mi disse che dovevo stare attento, poi mi proibì di rivolgere la parola a Malcom. Ma come potevo fare se era Malcom che badava a me? Era tutto così strano. Non mi raccapezzavo, perché avevo sempre più paura di lui e volevo bene a Malcom ed io non sapevo proprio che fare. E poi ogni notte Malcom veniva lo stesso nella mia stanza di nascosto e facevamo le nostre cose, come sempre, cose che piacevano a me quanto a lui.
"Io ero diventato grande... capisci? E finalmente provavo piacere a farle, ero veramente eccitato, insomma a me piaceva quello che Malcom mi faceva e ancora di più mi elettrizzava sapere che riuscivo a farlo godere.
"Poi un giorno papà mi disse che dovevamo andarcene. Aveva deciso di portarmi via di casa. Non poteva cacciare via Malcom, perché quella era anche casa sua, ma poteva andarsene e portarmi con sé, perché era mio padre. Quando arrivò Malcom cominciarono a gridarsi cose orribili, soprattutto su di me.
"Papà aveva solo dei sospetti, non era certo che facessimo qualcosa. Lui pensava forse che Malcom mi toccasse, ma non sapeva esattamente quello che facevamo. Come poteva immaginare a cosa eravamo arrivati e che io ero davvero innamorato? Mi urlò che dovevo preparare le mie cose, perché ce ne saremmo andati immediatamente. Io cominciai a tremare, mi pisciai sotto e svenni, proprio là, davanti a lui. Malcom cercò di soccorrermi, ma papà lo spinse via e mi portò sul mio letto. Intanto ero rinvenuto e tremavo, sembrava che avessi la febbre, allora Malcom lo convinse a lasciarmi riposare. Mi avrebbe curato lui, disse, perché crisi come quella me ne venivano spesso e il giorno dopo avrebbe chiamato un medico. Si offrì di restare con me. Poi anche papà cominciò a tremare, ma perché aveva bisogno di bere, sembrò quasi che si scordasse di me. Uscì di casa senza dire una parola. Se ne andò, lasciandomi con Malcom.
"Non appena fummo soli, scoppiai a ridere e Malcom con me. Avevo finto tutto, compresa la pisciata. Ovviamente lui se n'era accorto. Ridemmo come pazzi e poi ci mettemmo a pensare come fare per evitare la mia partenza. Si fece tardi. A Malcom venne un'idea, pareva che papà non avesse molti soldi, perché il patrimonio della mia famiglia era tutto nelle mani degli avvocati e lui, anche se era mio padre non disponeva di quel denaro. E poi beveva, perciò poteva essere che si sarebbe convinto da solo a non partire. Magari se n'era già scordato.
"Decidemmo che avrei continuato a fingermi malato e, tutte le volte che serviva, anche a pisciarmi sotto. Lui, disse, mi avrebbe protetto sempre e anche lavato e asciugato. Dicendo questo mi abbracciò e cominciò a toccarmi e a spogliarmi, insomma stavamo per fare le nostre solite cose. Io avevo addosso un pigiama bianco, di cotone, e lui mi tolse la giacca, mi mise a pancia sotto e mi abbassò i pantaloni. Ero felice in quel momento, avevamo raggiunto il nostro scopo e stavo scordandomi anche di mio padre. Non fummo prudenti.
"Malcom mi stava penetrando ed era tutto quello che desideravo dalla vita.
"Poi, prima che ce ne rendessimo conto, ci accorgemmo di mio padre, sentimmo che era entrato nella camera. Cominciò a colpire Malcom con un coltello da cucina. Gli dette dieci coltellate, contai i colpi. Potei contarli, perché ero sotto e Malcom mi proteggeva. Quando mio padre cominciò a colpirlo, lui non si difese, ma mi abbracciò stretto per difendermi, per coprire il mio corpo, però mio padre colpì anche me, ferendomi alle braccia, vedi?"
E gli fece vedere le cicatrici sopra i gomiti. Richard si era chiesto spesso cosa fossero quei segni che aveva sulle braccia.
"Forse mio padre voleva uccidere anche me, perché aveva capito che ero innamorato di Malcom e gli facevo schifo, proprio come gli faceva schifo Malcom, però non l'ho mai saputo con certezza e forse non è così per niente, ma nessuno me l'ha mai detto. Riuscii a sfilarmi da sotto a Malcom e scivolai per terra, dall'altra parte del letto. Avevo gli occhi sbarrati, credo di non aver più respirato a causa della paura dal momento in cui l'avevamo sentito entrare. Mi sentivo morire per il dolore alle braccia.
"Mi ricordo ogni momento di quella notte, sai, Richard, io credo che un bambino dovrebbe essere protetto da certe sensazioni, dall'assistere a scene come quella, non dico dal parteciparvi" sorrise e lo guardò, poi scosse il capo "Credo che dovrebbe potersi spegnere, io invece non lo feci, non accadde, non ebbi quella fortuna. Io gridavo, anzi, credevo di gridare, mentre vedevo mio padre girare lentamente attorno al letto e venirmi incontro con il coltello in mano. Stava per uccidere anche me. Ero a terra, schiacciato contro il muro, rannicchiato, come se volessi nascondermi, quando mi ritrovai in mano la mia mazza da baseball.
"Giocavo bene sai? Ero velocissimo. È un peccato che abbia dovuto smettere!
"Mio padre si avvicinava con un'espressione ebete sulla faccia, sentii l'odore del liquore che aveva bevuto. 'Kevin, bambino...' biascicò ed io lo colpii prima sulla spalla, poi mirai meglio e lo presi sulla testa. Lui mi cadde addosso, schiacciandomi. Mi sentii soffocare, ma riuscii a levarmelo di dosso. Rotolò a terra e lo colpii ancora, finché non smise di muoversi. Solo allora potei guardare il letto e vidi Malcom, nudo e immobile. Vidi il dorso martoriato dalle coltellate e capii che era morto. Era tutto coperto di sangue. Finalmente il mio cervello si fermò e non ricordo più nulla, se non che cominciai a gridare davvero e gridai tanto che mi sentirono i vicini, gridai finché non mi diedero un calmante, poi credo che mi abbiano legato, oppure l'avevano fatto già prima, comunque mi portarono in ospedale.
"Poi però sono stato in un altro ospedale, era quello dei matti, sai? Per molti mesi, credo. E là mi hanno tenuto legato per giorni. E mi fecero tante brutte cose. Richard, tu lo sai cos'è un letto di contenzione?"
Fece di no con la testa. Era terrorizzato da ciò che ascoltava e temeva di dover sentire ancora di peggio. Per esempio su cosa fosse quel letto di contenzione.
"È un tavolaccio con delle cinghie che usano per tenerci legati i pazzi più agitati, quelli che sono violenti con se stessi. Sei steso e ti legano le mani e i piedi. Puoi muovere solo la testa, ma poco, da un lato e dall'altro. Credo che con me non avrebbero dovuto farlo, perché ero troppo piccolo, ma lo fecero lo stesso, perché ero troppo agitato, pericoloso per me stesso. E mi hanno tenuto così alcuni giorni, non so per quanti... stavo là legato e mi faceva freddo. Tremavo. Fu orribile. In quei giorni urlavo, piangevo, mi disperavo e dormivo. Ad un certo punto ci si addormenta, ma non è un sonno normale, è diverso, è un torpore che ti fa staccare dal tuo corpo e andare in un posto dove puoi grattarti il naso.
"Perché... la sai una cosa, Richard? Sul letto di contenzione non puoi grattarti. No, no... non puoi proprio! Ed io lo desideravo tanto, più di ogni altra cosa. Ero così concentrato sulla punta del mio naso che quando mi sciolsero me lo grattai tanto da farlo sanguinare e allora mi legarono un'altra volta, con la camicia di forza, così però potevo grattarmi, strusciandomi sul muro. Avevo delle bellissime croste che riuscivo anche a levare, senza dovermi toccare il naso. E come potevo toccarmelo, se avevo le mani legate? Ero diventato bravo, Richard!
"Mi davano delle medicine, finché non mi calmai del tutto. Era come se il cervello avesse ripreso a funzionare e allora cominciò il vero inferno. Tutti mi facevano domande e nessuno mi diceva nulla. Ero certo che Malcom fosse morto e avevo capito che invece mio padre era vivo. Se solo avessi potuto scegliere... ma lui era vivo.
"Seppi che era stato in ospedale per curare le ferite che gli avevo procurato. Pareva che l'avessi conciato male, l'avevo colpito tante volte e lui non si era difeso, forse non ci era riuscito, perché era ubriaco. Oppure non si era difeso proprio, perché io ero suo figlio. Chi lo sa? Nessuno si è mai degnato di dirmelo. Sarebbe stato importante saperlo, no? Non credi? Dico per me.
"So che ora è in galera per l'omicidio di Malcom e per il mio ferimento. Vennero a trovarmi anche gli avvocati, volevano sapere tutto, anche le cose che Malcom mi faceva. Volevano i particolari, mi chiedevano da quanto tempo mi inculava e com'era accaduto all'inizio e quando lo facevamo e se lui provava piacere e anche se lo provavo io e se lui veniva e se venivo mentre lui mi inculava e se mi sborrava dentro o fuori, se ero io a chiedergli di farmi quelle cose.
"Avevo dodici anni, Richard, dodici anni e loro mi facevano quelle domande e volevano delle risposte. Io mi vergognavo tanto e non rispondevo, anzi, continuavo a fingermi pazzo. E loro, non lo so se per vendetta o che altro, mi fecero anche visitare dai medici, da altri medici, un sacco di volte e... lo sai come le fanno certe visite? Ti aprono il culo e ci guardano dentro per vedere cosa ci è passato.
"Poi, ad un certo punto, sparirono e così finì anche la mia cura psichiatrica, perché, in un certo senso, mi calmai. Non c'era nessuno che si occupasse di me e finii in un orfanotrofio di quelli dello stato, di quelli dove siamo stati tutti noi di Venture Island. Era un posto orribile, Richard, ci stetti il tempo del processo, fu solo per un mese, fortunatamente.
"Mio padre non fu condannato a morte, però, nonostante avessero capito, e non so come, perché io non lo dissi, che Malcom mi violentava fin dalla morte di mia madre, fu condannato a non so quanti anni. In quei giorni non desideravo altro che di ucciderlo, sognavo continuamente di finire il mio lavoro con la mazza da baseball, oppure di darmi da fare con il coltello. Lui era entrato nella mia vita e l'aveva rovinata, aveva ucciso la persona che amavo, che credevo di amare, comunque l'unica che su questa terra si occupasse di me e per questo desideravo ardentemente che anche lui morisse. Possibilmente per mano mia.
"Quello era il pensiero che mi teneva vivo, mentre ero in manicomio e poi anche nei giorni dell'orfanotrofio che non furono tanto più belli. Poi la sua sorte diventò indifferente, perché con la condanna perse tutti i diritti che aveva su di me, non era più mio padre e non sai quanto fui felice di saperlo!"
Tremava e Richard l'ascoltava, assistendo spaventato a quello sfogo. Kevin era stato sottoposto a pressioni tremende ed era sopravvissuto per miracolo, non riusciva a pensare ad altro. A quanto grande fosse il miracolo di averlo fra le braccia in quel momento.
"Dopo la condanna, lo studio legale che curava gli affari dei miei nonni, di Malcom e mia madre, fu incaricato della mia tutela. Se ne occuparono, ma non provarono neppure a cercarmi una famiglia, perché nessuno poteva volermi: pazzo, rotto in culo, finocchio e assassino!"
"Ma come facevano a dire che eri omosessuale?"
"Perché lo sono davvero, te lo sei scordato?"
"Ma avevi solo dodici anni..."
"Nel frattempo ne avevo compiuti tredici e, comunque, non ho mai avuto alcun dubbio. E poi non dovevo nasconderlo, perché, ovunque andassi, tutti sapevano che cosa avevo fatto e cosa mi aveva fatto Malcom, ogni giorno per cinque anni, perciò non dovevo preoccuparmi di risultare gradevole, né mi importava di fingere, perché nessuno avrebbe creduto che Malcom mi avesse violentato per cinque anni contro la mia volontà, o no? Quindi ero un pervertito, prima ancora che mi conoscessero ed io non facevo mistero di essere interessato a tutti i maschi che mi venivano a tiro! E mi divertivo a guardarli in certi modi, li toccavo. Con tutti mi comportavo proprio come una puttanella!"
"Kevin..."
"Che c'è? Ti scandalizza sapere quale puttana stai abbracciando? Eh... Richard?" gli chiese beffardamente, con uno sguardo e un tono che non gli aveva mai rivolto.
"No, Kevin, no..."
"Sei stato tu a chiedermi di parlare!"
E lo disse con un tono rassegnato e così freddo che Richard si raddrizzò subito, interrogandolo con lo sguardo.
"Scusami, amore mio, scusami, perdonami" Kevin tornò ad agitarsi, fu subito scosso dai singhiozzi "quelli furono i giorni più brutti della mia vita, così orribili che li ricordo uno per uno, tutto quello che feci e tutto lo schifo che mi sentivo addosso. Ricordo che mi mancava tanto Malcom e quello che facevamo insieme, la nostra vita... capisci quello che voglio dire?"
"Capisco... ma scusami tu, perdonami. È che io non ho alcun diritto di essere turbato, né dirti qualunque cosa e non avrei neppure il diritto di ascoltarti! Non credevo..."
Kevin parve calmarsi e fece un movimento con le spalle, come a dire che non gli importava poi tanto, per dirgli che la sua sofferenza era al di là di ogni possibile compassione, anche quella del suo innamorato.
"Dopo la sentenza i miei nuovi tutori mi misero in un collegio e sono stato là per due anni, ma non era un collegio normale. Credo che loro abbiano anche cercato di sistemarmi meglio, ma pare che nessuno volesse tenermi, sapendo cos'ero e cos'avevo fatto, così sono finito in una specie di orfanotrofio per ricchi, come mi dissero i miei tutori, oppure una specie di ospedale psichiatrico, sempre per ricchi, come ho capito in seguito. Ma a me non importava nulla, perché non mi importava di vivere, Malcom mi mancava e mi è mancato in ogni giorno della mia fottutissima vita, ogni giorno, finché non ti ho incontrato.
"In quegli anni nessuno si è mai interessato realmente a me, poi sei arrivato e tu e gli altri ragazzi e mi è sembrato di tornare a vivere."
Si fermò esausto, ma come tranquillizzato da quel pensiero. Richard l'abbracciava sempre, l'accarezzava, sorvegliava la sua agitazione.
"Lo sai che nessuno ha mai voluto dirmi dov'è sepolto, che ne è stato del suo corpo, il corpo con cui mi aveva protetto? Quelle dieci coltellate... ricordo perfettamente dov'erano."
E con la mano tremante le segnò sul corpo di Richard. Passandogli le dita sulla spalla, sul collo, sulle braccia, sui fianchi, su una coscia.
"Sai, Richard" disse mentre continuava ad accarezzarlo "una volta sono arrivato a segnarmi con un coltello in questi stessi punti, ma sono stato molto attento che non mi scoprissero. Mi sono fatto dei segni, spingendo. Erano quasi dei tagli, ma non feci uscire il sangue, perché in realtà avevo troppa paura di farmi male. Non ho avuto il coraggio di colpirmi davvero, ma mi sarebbe piaciuto soffrire come lui. Gli avrà fatto molto male, non è vero?"
"Non lo so, Kevin, ma credo di si!"
"Certi giorni ero come impazzito dal dolore e mi comportavo male con tutti, anche con quelli che avrebbero potuto aiutarmi. Nei primi tempi al collegio, ogni mese, veniva a trovarmi un giovane avvocato dello studio ed io ho tentato di sedurlo. Sembrava un ragazzino, non molto più grande di me, ed era anche piuttosto bello, io riuscivo a farlo arrossire solo guardandolo, mi mettevo vicino e lo toccavo. All'inizio lui non voleva, ma avevo capito che invece gli piaceva e anche molto. Lo toccavo e vedevo che gli piaceva, eccome se gli piaceva. Poi improvvisamente non venne più e da allora non ho più visto nessuno dello studio. Mi scrivevano delle lettere ed io rispondevo, chiedendogli di procurarmi quello di cui avevo bisogno, qualche volta mi telefonavano, ma era sempre uno dei soci anziani, uno antipaticissimo.
"Poi a poco a poco mi sono calmato e ho ripreso a studiare, mi sono fatto qualche amico. Beh... anche in quel senso, ma l'ho fatto perché essere proprio soli era brutto, ma non vivevo davvero, pensavo continuamente a Malcom. Poi gli avvocati mi hanno proposto questo viaggio sulla Venture, pare che conoscessero tuo nonno, ma, in fin dei conti, forse speravano proprio che facessimo naufragio."
Sorrise debolmente.
"Sai, Richard" poi aggiunse, con un po' di fatica "ho sentito di avere un cuore solo quando ti ho visto" e finalmente scoppiò a piangere.
Richard lo strinse a sé e si sentì impotente.
"Malcom era buono con me!" urlò Kevin.
Al campo lo sentirono certamente.
"Si, è giusto che tu lo ricordi, che tu pianga, che ti disperi, è giusto! Piangi..."
"Lui mi amava, Richard, e anch'io..." disse disperandosi "ma non come amo te, adesso, con te è diverso. Io ti amo tanto! Non posso dire che ti amo più di me stesso, perché io... io non esisto, non mi sono mai amato e non sono mai esistito!"
Adesso singhiozzava.
"Piangi, Kevin, e poi non lo farai più, te lo prometto" gli diceva accarezzandolo "anch'io ti amo, piccolo, e, se possibile, adesso che so quanto hai sofferto, ti amo anche più di prima! E so che esisti, perché mi fa felice poterti stringere. Tu esisti, piccolo, sei qua con me a rendermi felice. Dio, se esisti!"
"Allora, non t'importa che io sia pazzo?"
"No, tu non sei pazzo e non lo sei mai stato! E sei un miracolo, sei il miracolo che ho incontrato e che mi fa felice."
Kevin lo guardava, l'accarezzava con gli occhi e si lasciava coccolare.
"É un miracolo che noi ci siamo incontrati e che ora siamo qua! Non capisci? Pensa a tutto quello che ha dovuto accadere perché adesso io potessi abbracciarti e consolarti. E sono così felice con te, che tutta la mia vita di prima è diventata un ricordo sbiadito."
"Allora tu continuerai ad amarmi lo stesso?"
"Certo. Non ho mai smesso e quello che mi hai raccontato non poteva che avvicinarci ancora di più! Io credo che tu abbia sofferto troppo!"
"Richard, come sono contento, sono così felice d'averti detto tutto. Lo tenevo dentro di me e mi pesava tanto. Avevo paura a parlarne anche con te, avevo paura che sapendolo tu mi respingessi. Lo vedi com'ero stupido? Che stupido ti sei trovato per compagno?"
"Sei stato tu a trovarmi, te lo sei scordato?"
"No, non dimenticherò mai nulla di quello che ti riguarda, lo so che ti ho cercato."
"Adesso puoi calmarti, è finito tutto, è passato. Quello era il passato, adesso ci siamo solo noi due e siamo qua, lontani da tutto e siamo felici!"
"Lo so, amore mio, ma era giusto che tu lo sapessi!"
"E non vuoi raccontarlo anche a François e Mike?"
"Non lo so. Tu eri l'unico che avesse il diritto di conoscere questa storia."
"Allora faremo come vuoi tu."
"No, aspetta, Richard, aspetta un momento! Non so che fare!"
Era confuso. Ricominciò ad agitarsi e un'altra volta furono le carezze di Richard a placare la sua agitazione.
"Vuoi che gliene parli io? Potrei dirgli qualcosa e loro capiranno. Per François e Mike è importante saperlo e credo anche per Manuel e poi lo diremo ai piccoli, ma aspetteremo che crescano un poco. Allora sarai più sereno e gliene parlerai tu stesso."
"Si, grazie, amore mio! Io non voglio pensarci più, se è possibile."
"È possibile, piccolino mio, vedrai che ce la faremo."
"Tu credi davvero che riuscirò non pensarci più?"
Glielo chiese con una tale ingenuità che Richard ebbe come un tuffo al cuore, sentì che non aveva ancora sperimentato tutta l'emozione e la felicità che la vicinanza di Kevin poteva dargli. Il candore, l'abbandono che leggeva in quegli occhi lo fecero fremere e non desiderare altro che di poterlo rasserenare.
"Vedrai che presto incomincerai a ricordarti di Malcom e sarà sempre più bello tornare al suo ricordo, anche se ti ha fatto quelle cose che non avrebbe mai dovuto fare, che non erano giuste. Quando torneremo a Boston, andremo a cercare la sua tomba e pregheremo per lui. Cioè... non so proprio come pregheremo, ma qualcosa inventeremo, ne sono sicuro."
"Si, Richard..."
"Kevin, io credo che lui ti amasse davvero, anche se in modo così sbagliato, anche se ti ha fatto del male e ti ha corrotto, ma merita lo stesso che tu lo ricordi come la persona cui devi la vita. E sono certo che Malcom non vorrebbe saperti disperato. Hai sofferto troppo, piccolo, e per cose di cui non hai alcuna colpa. Perciò, adesso non piangere più. Ora basta e che sia per sempre. Va bene?"
Lo baciò.
"E mio padre?" fece Kevin dopo che per un po' erano stati in silenzio, ad ascoltare i rumori della notte, lasciandosi confortare dal loro infinito ripetersi.
Quella era una bella domanda, pensò Richard, cui era difficile trovare la risposta giusta.
"Ho pensato tante volte a lui, fino a farmi dolere la testa e più ci penso, più credo che in realtà quella notte lui volesse salvarmi da Malcom. Ho l'idea fissa che sia stato proprio così, lui voleva sottrarmi a quelle attenzioni, perché pensava che fossero cose cattive, ma era ubriaco e poi non sapeva di noi, che io amavo Malcom veramente. Come poteva anche solo immaginare? Io non gliel'ho mai spiegato, perché avevo paura di lui. Tanta paura... Richard, tanta paura..."
Ricominciò a tremare.
"Adesso non devi preoccuparti, né avere paura, di lui e di nessuno altro. Se lo vorrai, andremo a cercarlo, ovunque sia e voi due vi spiegherete. Gli parleremo insieme, se vorrai. Se e quando ti sentirai di farlo, se torneremo..."
"Dobbiamo tornare, Richard, dobbiamo assolutamente tornare, abbiamo un sacco di cose da fare!" fece Kevin finalmente sorridendo. Almeno provandosi a farlo.
"Si, credo che torneremo. È probabile che dovremo aspettare un po' di tempo, anche qualche anno, ma sono certo che alla fine torneremo e soprattutto che resteremo tutti insieme. Adesso però voglio che tu mi rassicuri su una cosa, voglio essere certo che tu abbia capito e che ne sia convinto."
Kevin lo guardò attento, anche se non capiva.
"Amore mio, tu non hai alcuna colpa di tutto quello che è accaduto, dimmi che sei convinto di questo. È importante!"
"E tu dici che è così?"
"Assolutamente certo, ma anche tu devi esserlo! È proprio importante!"
"Se lo dici tu, Richard, io ci credo! Se me lo dici tu."
"Si, amore mio, tu non hai alcuna colpa!"
"Allora si, ora credo di saperlo, ma prima no, non prima di te, non potevo. Adesso si, amore, adesso che tu me l'hai spiegato" e l'abbracciò ancora più forte "finalmente so che non è stata colpa mia!"
"Di nulla... mai..." e non smise di accarezzarlo, finché parve quasi che si assopisse esausto fra le sue braccia.
Si era fatto tardi e Richard sentì le voci salire dal campo.
"Quegli incoscienti sono ancora svegli!"
"Ci vuole un po' di disciplina" fece Kevin sorridendo, finalmente sereno "però credo che ci aspettino per la preghiera!"
"Oh, già è vero, andiamo?"
Anche François e Mike si erano uniti alla partita di ma-jong e li stavano aspettando per recitare le preghiere, prima di andare a dormire.
Tutte le loro serate si concludevano così. Si facevano il segno della croce e si prendevano per mano, mentre Richard recitava il 'Padre Nostro'. Era un'abitudine che avevano preso senza che nessuno in particolare l'avesse chiesto. L'avevano fatto fin dai primi giorni, quando la loro vita aveva incominciato a diventare un po' più regolare e così la preghiera serale era diventata un passaggio atteso da tutti, prima di andare a dormire o a fare l'amore.
Anche quella sera Richard pregò e Mike, come sempre cominciò a cantare con la sua voce chiara, seguito da François e poi da tutti gli altri che avevano imparato e potevano seguirli, ognuno con la sua voce e con le proprie forze, anche se qualcuno era un poco stonato.
Poi Richard, come ogni sera, ringraziò Dio per la giornata che avevano vissuto e, per una volta, aggiunse un proprio pensiero, che però non disse ad alta voce. Pregò per Kevin, perché il suo ragazzo trovasse finalmente la pace.
Si commosse e Tommy, che gli teneva la mano, se ne accorse e lo guardò.
"Buonanotte, ragazzi" concluse, ma quasi non terminò la parola, perché Tommy gli saltò in braccio e lo strinse forte.
"Sei triste, papà?" gli chiese preoccupato.
"No, piccolo, anzi, sono molto tranquillo e ho anche tanto sonno!"
"Allora, buona notte, papà!"
Poi Richard fece cenno a Mike e François di volergli parlare. Lo seguirono, mentre Kevin avviava le trattative per convincere i piccoli a salire in casa, senza aspettare Richard e gli altri che dovevano discutere di una cosa molto importante, arrivando a inventarsi che forse era una sorpresa per il giorno dopo.
I ragazzi erano un po' restii, ma riuscì a farsi ascoltare e così se ne andarono a dormire, anche se piuttosto incuriositi. Riuscì perfino a convincere Tommy a salire con Terry, perché trattenne Manuel accanto a sé.
"Raggiungi Richard" gli disse appena furono soli "ti sta aspettando per raccontarti una storia."
Manuel corse incuriosito e lui si sedette sull'erba.
Attese con pazienza che si compisse la volontà di Richard. Quello era certamente il meglio che potesse sperare per sé.
Era sereno e stranamente tranquillo, dopo tutta l'agitazione che gli aveva procurato raccontare. Era spossato e si assopì, pensando a Malcom, al suo sorriso, alla loro vecchia casa, alla pace che vi regnava. Ora sapeva che non era stata una vera pace, era consapevole che tutto era stato contaminato dalle azioni di Malcom che aveva sottratto troppo alla sua vita, alla sua innocenza, ma quella era la sua casa ed era stata anche tranquilla e gioiosa, era il mondo al quale, nonostante tutto, fino a qualche mese prima desiderava di tornare.
Erano i primi ricordi sereni che faceva da quando era accaduto tutto e adesso finalmente non avrebbe avuto più incubi, né tristi pensieri. Quelle angosce che si insinuavano nei suoi sogni, sia che dormisse o che fosse sveglio, che lo rendevano tanto inquieto e malinconico.
Una carezza lo svegliò. Era François che gli tendeva le braccia e l'attirava a sé. Lui si lasciò stringere in quell'abbraccio. Era ancora un po' intontito dal sonno. Anche Manuel l'abbracciava. Erano tutti commossi.
"Kevin, perdonami" gli diceva François "io non immaginavo che tu avessi sofferto tanto, non pensavo che fosse possibile. Mi dispiace."
Mike era vicino e li strinse anche lui, tutti e tre, con le sue braccia forti. Li baciò, a Kevin, a François, a Manuel. Piangeva anche lui.
Richard li guardava intenerito.
Gli aveva raccontato tutto e li aveva visti emozionarsi. Le lacrime riempirono anche i suoi occhi. Con un movimento delle palpebre le fece scivolare e le sentì scendere sulle guance, cercò di asciugarle velocemente.
"Andiamo a dormire, ragazzi?" disse, quando credette di aver controllato la voce "S'è fatto tardi."
Ma il tono triste non sfuggì a Kevin che si sciolse delicatamente dalle braccia che lo tenevano ancora e l'accarezzò.
"Ehi, queste sono lacrime" gli disse sfiorandogli le guance.
"Forse è meglio andare a nanna" fece allora François "credo che per stasera abbiamo tutti pianto abbastanza. Specialmente tu, Kevin, ma adesso basta!"
Kevin sorrise e si avviò sulla scaletta, seguito dagli altri.
Era quella dunque la pace, quello il posto e quelle le persone.
Si sentì avvolto da un senso di tranquillità, di leggerezza che non aveva mai posseduto, del tutto simile all'innocenza assoluta dell'infanzia, quell'ingenuità che gli era sfuggita senza che potesse fare nulla per fermarla.
Mentre si coricava accanto a Richard, si chiese se in qualche modo amasse ancora Malcom o lo rimpiangesse.
No, non l'amava più, nel suo cuore c'era posto solo per il compagno eccezionale che si era scelto, che ora l'attirava a sé e lo stringeva, l'accarezzava e lo baciava con passione e poi gli si addormentava stanco fra le braccia.
TBC
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